Anticoli Corrado lo devi capire già per quel toponimo ardito che porta. Rovistando nella letteratura una spiegazione più o meno saggia te la riesci a dare: Ante collis, davanti ai colli (Laziali); Corrado segna antica discendenza, quella da Federico II di Svevia.
Il paese ti appare così, come uno sbruffo di case; alcune pennellate di vernice lasciata da un pittore distratto ed amante del controluce sulla tela grigio blu uniforme del crinale della Valle del Aniene. Perché io Anticoli lo avevo visto sempre in controsole; quello spietato della A24 di mattina. Rallenti, ti avvicini al guard rail che fa da balaustra alla valle, per vedere Roviano, il paese che buca le nuvole; poi immancabilmente dai uno sguardo a tutta la valle, avvolta nelle foschie brumose ricche di umidità del fiume. Anticoli è lì: qualche comignolo di alluminio che brilla, una torre, sagome. Niente più. Se lo vuoi scoprire lo devi conquistare. Io e Vincenzo lo abbiamo fatto in una mattina piena di sole di fine novembre, giunti sin lì per lo spirito evocativo della storia: si narra di donne bellissime ed ammalianti, modelle per pittori ed artisti di ogni scuola, che a metà dell’800 scorrazzavano con le tele e i pennelli per le sponde dell’Aniene; tra di essi, i Venticinque della Campagna Romana, come la storia li aveva denominati.
Curve, asfalto umido e nero, muschio sulle facciate a nord dei muretti; qualche cappella votiva a segno di antiche processioni; alcuni immancabili intrusioni di anarchia edilizia, poi di colpo la Piazza, enorme: fontanone, sampietrini, chiesa romanica a corredo e tetti a sbalzi tutto intorno. Meravigliosa. Ci infiliamo in un bar per un caffè che annulli la sbornia delle curve. La signora dietro tazzine e cucchiaini ha l’aria di saperla lunga. Partono le domande d’obbligo, ma si finisce a parlare della produzione di olio del territorio. Brutte annate: le olive sono piccole, le grandinate decimano il raccolto, gli alberi si ammalano. Scenari da post-atomica.
[…]Ora siamo nei vicoli anneriti ed umidi. Iniziamo a perderci tra la pietra e la storia. Scalinate infinite, alberi di fico dentro i cortili, portelloni di legno sfondati, le immagini della Vergine che adornano gli androni sotto gli archi. I vicoli sono profondi, sembrano quasi trincee, la luce arriva a stento infondo e fotografare diventa complesso. In alto il cielo è color cobalto e i boschi sui crinali emanano riverberi argentei. Non c’è anima viva, ma dalle finestre e da alcune porte socchiuse arrivano melodie di pianoforte, chiacchiericcio televisivo e odori di arrosto. Gli elementi architettonici, le decorazioni, si accavallano perdendo ogni logica, dettati forse da menti folli. Un po’ di logica la troviamo in macelleria, dietro a prosciutti, confetture sottolio e salamelle appese. Finisce così: pane e salsiccia su una panca piena di sole della piazza. Sembra aprile.