Percorrendo la Val Nerina i paesi ti si svelano repentini dietro alle curve, sorgono dalla boscaglia, si nascondono tra gli intrecci di rami spogli.
Vallo non fa eccezione: svincolo nascosto, ponte sul Nera, brusco salitone a curve secche.
Silenzioso, nel freddo di una mattina limpida di inverno. La planimetria come disegnata da Maurits Cornelis Escher. Muraglioni di pietra calcarea bianca e rosata, scale che si intersecano. Un piano non esiste. Solo salite e discese. Ti perdi, passi sotto archi che accedono alle porte delle case. I punti cardinali diventano ironia e dietro l’angolo hai sempre il punto da cui eri partito e ti sembra di vedere te stesso che passeggia in fondo al vicolo, o a testa in giù sulla rampa di scale sopra la tua testa. I comignoli fumano, qualche gatto si stiracchia su una lama di sole tra due spigoli di case e nel paese regna il silenzio e la solitudine.
Bello, enigmatico, austero in alcuni tratti, elegantissimo in altri. Fotografarlo è gioia autentica. Quasi troppi elementi architettonici, in un’orgia di inquadrature. Scalette, torrioni ottagonali, trame di calcare rosa incastonato in giochi cromatici delicatissimi. Fontane, vicoli pavimentati in mosaico. Feritoie, loggette, archi di entrata e uscita. Portoni e facciate monumentali di chiese che si ergono dalla piazzetta con il pozzetto e il terrazzamento a piombo sulla vallata. Sulle vette rotondeggianti intorno una spruzzata di neve che riverbera argento. Mi entusiasmo osservando una pavimentazione a scacchi bianco rosa, degna della migliore sapienza architettonica italiana.
Il resto è aria profumata di freddo e legna arsa, grida di corvi, sentori di arrosto dalle finestre.
E un tempo cronologico che si è polverizzato, come correndo su un nastro di Möebius. E queste immagini.