Luce che cala. Ombre che si allungano tra le pieghe della piana. Dolci e docili curve panoramiche con Tevere in bellavista. Mugnano appare e scompare tra i rami degli alberi a bordo carreggiata, come in una striscia di fotogrammi fuori sincro. Torri, pareti di case a piombo sul precipizio e palazzi con loggioni e soffitti a cassettone. Che fai, non accosti?
Nel paese una solitudine epocale. Sono tutti fuggiti, lasciando a custodia delle mura i gatti. Ogni tanto qualche voce, stoviglie che sbattono, musica dalla radio o televisione. Le botteghe sono chiuse, anche se è lunedì. Peccato, perché c’è delizia nelle architetture, qualche accostamento ardito; terrazini bucati per far passare i tronchi del glicine. Scalette ovunque, portali rialzati; usci con stipiti svasati per far passare le botti del vino. La chiesa costruita sicuramente su un edificio precedente e ad esso riadattata. Una torre dal passato incognito e difficilmente intuibile. Sarebbe stato bello poter chiedere ed incontrare i superstiti dell’arca. Invero siamo rientrati così, in un tramonto ciclopico sulla Valle Tiberina, pieni di domande.
Un trittico a pochi passi dalla capitale. Un piccolo acquerello dai toni pastello.
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