Eravamo lì, su quella linea di confine tra un autunno astronomico ed uno atmosferico. Ci lasciavamo alle spalle calde correnti di scirocco, a guisa di una insistente fine estate, per far posto ad una sferzata di maestrale. Ore che rischiavano di appassire, sotto condensa a pioggia tra le rovine di Canale Monterano; un po’ persi ed alquanto adirati per la visita mancata. Torniamo sui passi, verso casa. L’idea fulminante, risolutoria, la sfoggia Danilo.
Parla di paesaggi lunari, sorgenti sulfuree… Siamo già sul posto: Caldara di Manziana. Siamo già su un altro pianeta. Silenzio assoluto, boscaglia di betulle a basso fusto di epoca ancestrale, riflessi e pennellate di ocra e sale, sotto un cielo che strappa il tessuto nuvoloso in una miriade di altocumuli. Il sole lento scende, gli si contrappone l’umidità nascente dal sottobosco. Ora è Islanda, è il nostro Geyser, in un autunno splendente e multiforme. Aleggiano vapori di zolfo, sussurri di acque sorgive, sagome di poveri resti animali.
Ci dimentichiamo il tempo, come ci accade sovente. La residua malinconia per una pioggia inattesa lasca gli ormeggi, si dirada all’orizzonte. Noi peregriniamo senza riferimenti, nell’abbandono tra eterei raggi di luce; poi rientriamo, seguendo la luce del tramonto su un umido nastro d’asfalto.
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