La luce di Tarquinia la ricordo bene. Mi ha accompagnato lungo diverse stagioni, ognuna scandita da un suo ritmo peculiare. Torno in questi luoghi ed è ancora tutto diverso, adesso mi appare tutto meno caratterizzato. Forse ora gli occhi cercano di più e si soffermano sui particolari. Ad accompagnarmi, i garriti di infinite rondini.
Luce nuova, il corso assolato, le pietre ocra rossiccio. Quel terrazzamento su colline a perdita d’occhio. Ci giocano dietro nuvole fluorescenti e sfilacciate e rigonfie di pioggia. Ed un numero imprecisato di vicoli e case nuove ed angoli inesplorati. Cortili nascosti e pievi a picco sulla valle. Sotto, il Marta fa il suo corso sinuoso e connette mare a terra nella consecutio di colline lisce come velluto.
Sta lì Tarquinia, come una regina addormentata sotto il sole di un estate da lì a venire. Con le sue alte e squadrate torri in segno di sfarzo, o difesa. E si lascia accarezzare, docile. E semplice si lascia fotografare, con quella sua aria profumata da signora di Tuscia che sempre ho annusato passando da queste parti.
La ricordo così. E così l’ho vista, in uno sfrenato cromatismo. In un ricordo al sole che pareva lungo anni. Perfetta fusione di stagioni vecchie e nuove.