A Poli ero già passato in una precedente era; un tempo ed un clima differenti. Tanto che vado a rivedere nel cassetto e sfodero una immagine del tempo che fu.
Un gelo radente allora, la primavera perfetta oggi.
Il borgo è nascosto alla vista fino all’ultimo istante e all’ultima curva, quando il campanile svettante fa capolino da dietro il profilo della collina e il paese ti appare come conficcato dentro alla valle. È l’ora del pranzo e la panchina al sole invita ad alcune riflessioni dietro ad un panino ed una birretta acquistati a prezzi commoventi.
Strano Poli. Nei secoli addietro luogo di scorribande dei peccaminosi “Fraticelli”; poi bonificato dall’esercito romano, spedito lì per l’occasione dal Papa. I peccati vennero ripuliti e nei vicoli sono rimaste le tracce di questa conversione: iconografia sacra ridondante, sui frontoni e sugli architravi, pareti affrescate con volti sacri, colori pastello e spicchi di bianco nero naturale. Mi ricorda rapidamente il modo di ostentare e mischiare sacro e profano tipico del Messico. L’occhio corre dietro a mille particolari, mentre precipitiamo nella valle, condotti dall’unica strada del paese, il corso principale, diritto come un righello in pendenza gradualmente crescente. Dai, è bello Poli; si fa scoprire scorcio dopo scorcio, vicolo dopo vicolo. Alcuni così stretti da impedire alla luce di entrare e al muschio di avanzare rigoglioso. Affacciandoti dentro ci scopri immagini intime della vita abitata, della famiglia di paese, delle televisioni accese e gracidanti, dell’odore del sugo nella pentola. Sono pieno di colore e di immagini, mentre planiamo a luce radente nella piana della Capitale.
Nella mia mente strani incroci e sovrapposizioni di due tempi differenti; e quel sapore dolce che rimane tra le sinapsi, ripensando ad un tutto che fu.
g
(Come sempre, per il tiro incrociato: mediaforme.net)