Nella risalita verso Cagliari veniamo portati dal Maestrale. Si viaggia di bolina stretta e capello al vento lungo la SP71, una strada cinematografica che segue pedissequamente tutte le rughe orografiche della costa sud della Sardegna. Ogni curva somiglia più ad una strambata e la prua della macchina punta ogni minuto praticamente tutte le direzioni cardinali. Chi ama guidare qui trova il suo nirvana. Intanto lì sotto il mare ha preso di cobalto puro ed è un mosaico di ochette color panna. Sulla linea dell’orizzonte si staglia Capo Teulada, velato di foschia di evaporazione virata sul bluette.
Tra le infinite curve si materializzano attraenti insenature, che invogliano al tuffo. La sosta è pertanto obbligatoria. Qualche persona, sabbia bianca e acqua ghiacciata. Mare vero.
Lo sbarco all’area archeologica di Nora, con il sole allo zenit, sembra più un atterraggio sulla grande piana del Deserto del Gobi. Luce impossibile, caldo che ti afferra alla gola e qualche gabbiano appollaiato sui massi delle rovine che ti guarda arcigno. Non esistono ombre. Con un drappello di altri fanatici dell’archeologia, ci addentriamo in una visita guidata che ci scaraventa nelle pieghe della storia, affascinandoci di racconti e visioni di Fenici e Romani, condottieri, imperatori, navigatori e commercianti; il tutto mentre a lato sfilano mosaici in tonalità ocra di preziosa manifattura, i resti dei colonnati e delle sale del calidarium e frigidarium, il decumano, le vestigia delle botteghe artigiane e di sontuosi palazzi, gli enormi blocchi crollati di laterizio romano e la linea di costa che delineava l’ansa del vecchio porto, punto di snodo dove il Mediterraneo si scambiava preziose merci e manufatti. Nel frattempo il sole cala verso ovest, gettando argento fuso nel mare increspato; il caldo molla leggermente il colpo e, in un attimo, siamo a Cagliari, dove ci aspetta una cena d’estate, tra i parapetti con vista illimitata e le tende svolazzanti del ristorante del Castello, che sovrasta e controlla la città.