A Bomarzo ci arriviamo per legge di gravità. Discesone, curve, paretone di tufo a piombo come monumento ai caduti. La nebbia lascia la Valle Tiberina piena di umidità residua. Il profilo delle case arroccate sull’avamposto della piana ti viene addosso repentino. Muraglie grigie, finestre serrate.
Dentro la solitudine regna sovrana, nella contrastante sensazione che le case siano invero tutte abitate. Il muschio avanza lento sull’umidità delle pareti. Uno stuolo di gatti paesani ci accompagna gentile nella peregrinazione tra i vicoli, entrando con delicatezza nelle inquadrature. E tutto intorno scale, cantine, alcove, vecchi mestieri in insegna.
Tutta la pietra giace immutata a come la avevo vista anni prima. Colori, particolari, architetture perse nel tempo; angoli delicatissimi, appoggiati su loggioni che fanno da bastione alla valle. In lontananza le sagome dei “mostri” dell’omonimo parco in cui ero solito aggirarmi in adolescenza…
È strano il cielo sopra Bomarzo.
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