Epifania. Ovvero apparizione. Ma non è di streghe o befane che abbiamo avuto visione, bensì delle luci e delle ombre di un Abruzzo che si svela a piccole dosi; timido, riservato, quasi malinconico e silenzioso; di boschi e crinali dai contorni disegnati in pastello, che emergono tra il tessuto sfilacciato di nubi ovattate, residuo di venti umidi da sud. Talvolta è l’aria che ti porta in un luogo; oppure un’idea appena abbozzata tempo prima, la voglia strana di capitare in qualche posto e sentirsi parte di un tempo e di una storia fatta molti anni addietro.
Perché a Sperone, paese abbandonato della Marsica, avamposto di origini medioevali, è così che ci metti piede. Non perché scruti una mappa alla ricerca di tracce appena abbozzate; quelle oramai quasi non ci sono più. E poi quello è solo un punto indistinto, un nome come tanti, senza peso o dimensione. Invero a guidarti è una strana energia, e la forza della storia dell’uomo, fatta di stenti e schiene curve. E l’arrivo, dalla sterrata nel bosco, è realmente uno sbarco ed una apparizione; la strana sensazione di essere capitati sul set di un film, ma senza attori. Poi tu accorgi che tutto è reale, ma è spogliato dalla vita ed è rimasta solo l’essenza, che ti permea ad ondate successive, ad ogni angolo voltato, ad ogni soglia varcata.
Siamo parte della scena: io e Danilo siamo catturati dal silenzio e del silenzio facciamo eco; insieme al sole che incide ombre e che ritocca di ocra la vecchiaia e la porosità delle pietre. Negli interni delle case sfondate, tra i colori accesi di pareti antiche, respira ancora l’anelito della vita vissuta, tra una sedia ed il focolare. Qua e là qualche oggetto contemporaneo; una accattivante mistura di antico e moderno. Le immancabili invettive alle pareti, simbolo di arcana imbecillità, fanno da contrappunto alla sobrietà di vita di quel tempo. Te le vedi ancora, le genti di allora, riunite intorno al tavolo con il fioco lume della candela; e vedi greggi al pascolo negli ampi spazi antistanti alle case. Vedi la neve d’inverno ed il fontanone ghiacciato davanti alla chiesa. Senti un tempo fluido, fatto di albe e tramonti incessanti; fatto di guerre di confine e di transumanza. Intanto la luce raggiunge ogni angolo, si fa radente, ci segue nel sentiero in salita, sino alla sommità del colle dove si erge l’antica torre di difesa a pianta circolare. Intorno ci sono gli scheletri delle case, dei fienili, delle aie, con i muri a secco ed i tetti a travi in legno e coppi. La staticità delle pietre è solo un’illusione; qui tutto è in movimento, nulla si è fermato. Come non si è fermata la terra, che richiama al terremoto, quello forte, del 1915. La torre domina la piana del Fucino, silenziosa sotto un lieve velo di foschia. Il sole basso strappa le nuvole e disegna figure nere sui crinali color cenere. Ci sentiamo un po’ come cavalieri, in un ipotetico viaggio nel tempo, mentre percorriamo a ritroso il sentiero tra le rovine e planiamo, tra arditi ed aerei tornanti, nell’antico bacino lacustre, solcato ora da strade diritte ed infinite del nostro far west. Il sole tramonta fra i nostri sorrisi ed i nostri pensieri; alle nostre spalle l’Abruzzo dorme leggero.
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