Bip. Sul visore al quarzo compare la scritta “Happy Skiing” e il termometro è fisso a -7°. Addosso una curiosa sensazione di freddo cosmico. L’aria è di cristallo.
Passo Falzarego. Brumosa mattina di marzo. Il tempo di formulare alcuni confusi pensieri ed il mammut meccanico mi spara 650 metri più in alto, a dieci metri al secondo costanti, verso il budello del Lagazuoi.
Dentro la cabina un vociare sommesso ed il rumore sordo e sgraziato degli scarponi sul pavimento metallico. I corvi volteggiano in cerchio, agganciati ad invisibili termiche. E’ tutto come la scorsa estate, ma il bianco della neve mi scaraventa in un riverbero abbacinante e la mia commozione è la perfetta fusione tra questo bagliore e la sovrapposizione di ricordi vicini sette mesi e lontani venti anni.
Sulla terrazza del Lagazuoi tutto si trasforma in Oceano. I Monti divengono arcipelago, isole solitarie tra le nebbie di fondovalle. Navigo, ondeggio; il senso di rollio è surreale. Motore avanti mezza fra Tofane, crode, Bec de Mesdì, spingendosi giù fino al Nuvolao ed al Pelmo, che ora diventa vulcano per le brume della vetta. A sud-ovest la grande isola della Marmolada, inconfondibile ed enorme, con il suo profilo a dente di sega.
Immagino una virata, oramai ho assunto una dimensione aeronautica. Una nuvola avvolge i tavoli della terrazza e l’aria si trasforma in una galassia di lucciole. Poi si dirada e allora ecco il Muraglione del Gran Lagazuoi e Cima Scotoni. Le creste si perdono nel mare del nord, verso la Forcella del Lago.
Sento il bisogno di telefonare agli amici che hanno percorso con me l’Alta Via la scorsa estate, per condividere qualcosa di ancestrale che mi sta letteralmente sovrastando, ma di cui fatico a capire la provenienza. E’ la Montagna che parla. Gesticolo, come se avessi davanti un interlocutore, ma in realtà ho solo neve e roccia ed i ricordi inciampano nella fatica della salita, nella serenità della sera al rifugio, nell’asprezza e severità di alcuni passaggi esposti sul sentiero friabile.
Riprendo la navigazione. Ora a vista, fra enormi prati gibbosi, ai cui confini regnano giganti di roccia. Le Cinque Torri sono il castello principesco. In basso la Statale del Giau si avvinghia su se stessa, cerca l’origine, la sua storia; si incanala tra pareti strapiombanti in tornanti arditi che sembrano riportarti indietro. Come la gigantesca prua di un rompighiaccio, la mole del Lagazuoi sembra fendere la banchisa, farsi largo a strappi e scossoni fra questo paesaggio cristallizzato, ma al contempo mutevolissimo.
Allora scendo e tra il rumore degli sci che fendono il manto nevoso compatto e secco e le immagini del panorama che ruota di 180° ad ogni curva, si inseriscono pezzi di passato, brillanti momenti ed errori di percorso. Ossimori e chiasmi della mia vita che il freddo pungente pare sterilizzare, in un atto catartico. La fatica mi sta facendo scoppiare le gambe, all’arrivo ansimo con il fiato corto, appoggiato ai bastoncini da sci. Resto fermo, inerte, per un minuto, poi guardo in alto, in un cielo denso di cobalto. Si, ci sei. Ciao amico fraterno.
Gianluca
7 Commenti. Nuovo commento
…sto singhiozzando…
A.
grande gianlupo… che dire… il tuo confronto fotografico è emozionante (e tecnicamente perfetto!) e il tuo post davvero scritto col cuore… Anche io porto sempre con me i ricordi di quei posti surreali e aspri ma allo stesso tempo accoglienti, mistici e assolutamentete familiari..posti dove hai il tempo di ascoltare il tuo respiro e mettere a dura prova i muscoli e la testa..per me era tutto quasi-nuovo, ma sono tornata entusiasta, con nuove energie e nuovi punti di vista… tutti dovrebbero avvicinarsi alla montagna! un bacio e a presto
Vedo, vedo!! Che…indivia!!! Spettacolari immagini e originale questa idea di mettere a confronto lo stasso luogo in due stagioni diverse…diverse anche per il cuore!..eh, lo so! il paesaggio del cuore, come quello della natura, è molto cambiato…anche se il luogo è lo stesso. un bel volo!
sedia-2 bellissima!bello anche quello che scrivi,un’ingegnere inedito,più unico che Raro!!per dirla come la direbbe Anticaja.
ciao ingegnè,
che c’è che ti anima? che ti ansiogena? che c’è che ti smuove dentro fin nelle viscere e rende il tuo cuore morbido e solare per tutti quelli che del dono ne facciano un luogo ove rintanarsi nei momenti più buii? che cosa è questo dono al mondo questo donarsi al mondo? questo exposure?
i complimenti non te li faccio perchè sò che ti le sei già fatti da solo:)…
ma questo lavorare, questo artigianato di sè stessi di cui oramai ne seguo con discrezione i passi mi piace e mi emoziona. e mi incuriosisce. nell’antichità gli alchimisti erano coloro che lavoravano i metalli alla ricerca della cosiddetta pietra filosofale, ovvero quell’unica pietra che era in gradi di trasformare i metalli in oro. eppure non sfuggiva agli stessi alchimisti che l’obiettivo non era tanto la pietra stessa ma la trasformazione. ovvero l’arte di trasformare, di evolvere di cambiare attravero la manipolazione (ma uso un termine assai brutto!!!) delle stesse sostanze la natura del mondo er la natura nel mondo. e di conseguenza sè stessi. non sfuggiva loro questo.
ed in quelche modo, faccio un breve riferimento, ciò che diventa importante non è ciò che rappresenti ma ciò che accade dentro di te.è come tu ti muovi e danzi insieme a loro.
un tempo quando ero ancora all’università di psicologia scrissi un breve saggio (…) su di un tema a scelta era per un esame di psicologia della personalità:
la trasformazione del piombo.
piombo metallo greve, rude banale, pesante e grigio.liscio e scivoloso da morire. erano anni in cui la birra (guinness) scorreva a fiumi e nelle serate il vino faceva compagnia nelle notti di luna piena. gli anni in cui la gravità rendeva lenti i miei passi ed i miei pensieri. come può il piombo essere trasformato in terra friabile e solare? come può esso stesso diventare permeabile? ed erano gli anni delle prime avventure in montagna delle follie che ne conseguivano e delle infinite conversazioni con amici più o meno rimasti nel corso del tempo. ma se questa domanda angustiava me come altri un motivo ci doveva pur essere. H. Hesse scrivera nell’ntroduzione del demian l’uccello lotta per uscire dal mondo, il guscio è il mondo. l’uccello lotta per uscire dal guscio. eppure non volevo altro che essere me stesso. era mai tanto difficile?…
anni di solitudine anni di ricerche di lavoro anni di analisi di gruppo per sentire che pou alla fine non ero piombo ma avevo con me germe di grano soffici e solari pronte da offrire al mondo a chiunque abbia avuto voglia di avvicinarsi a me alle mie rigidità, alle mie paure alle mie distanze difensive. anni duri. e sono ancora oggi anni duri.
quando mi guardo dietro a volte faccio fatica a ricordare a me stesso che ho avuto grandi fortune per come io sono stato nel mondo. a volte nel trovare donne fantastiche ma forse ero ancora troppo poco pronto a crescere con loro, e doni di una straordinaria bellezza. fossero anche solo quella sensazione che mi prendeva ogni volta che vedevo mio padre un grafico famoso in tutto il mondo, bere fino a stordirsi e dimentico di me suo figlio, rivederla nel barbone sotto casa o in me quando la bottiglia negli anni passati reggeva il confronto. lacrime sgorgavano silenziose nel mio cuore ma io non avevo ancora capito. eh si perchè a volte per quelli solo e semplicemente più complessi (non complicati!) rispetto aglia altri a coloro che vivono felici senza porsi troppe domande, bisogna lavor duramente per afferaare qualcosa che non è visibile.
così oggi questi doni che ho avuto e di cui ne sono fiero li difendo ogni giorno affinchè sia sempre intatto dentro di me rappresentando il o i luoghi in cui mi rifuggio per trarre forza e coraggio e determinazione. essi sono la mia segreta riserva. il mio luogo sacro.
oggi che alla fine dopo 8 anni di sforzi e sacrifici, anni di speranze e di credenze anni, ultimi, in cui la morte ha sembrato avere il sopravvento anche per un solo attimo e di cui tu sei stato pertecipe, sono andati a morire, la mia vita non è perduta nell’oblio del mondo. avrei forse sperato di rimanere attaccato su di un ramo oramai morto. così mi appare oggi di ricongiungere un cerchio:
oggi ho capito che la strada maestra è il cuore.( non sò spiegarti bene che cosa significhi per me o almeno non ancora). capisci gianluc? il cuore, il cuore rende il mio piombo terra friabile e solra, il mioo cuore può rendermi permeabile e leggero. nessuna cultura inutile nessuna barriera ne filtri ma solo ciò che io posso riuscire ad esprimere che sia mio e solo mio frutto della mia esperienza della mia stupidità o intelligenza. frutto della mia sofferenza. della mia solitudine. e delle mie lacrime. in un qualche modo è come se gli ingranaggi si fossero mossi nuovamente e l’uccello che girava le viti del mondo avesse tornato a girare le mie. questo trasforma me. il mio cuore è la pietra filosofale attraverso la quale io posso diventare fraibile e solare. e trasforma ciò che è intorno a me. ed io ne rimango trasformato. e non ho paura di piangere e di commuovermi fosse per un tramonto, uno sguardo o una parola. o un incontro con un amico ritrovato.ecco questa è la mia strada. ora io lo sò finalmente! e la tengo stratta a me anche se alla fine il mondo la ignora e la rifiuta. ma questa è la mia strada.
e allora io ti dico questo: il tuo mondo ricco e varipinto e pieno di colori ed immagini e di pensieri che io sò di te tienilo per te, nascondilo ai più borghesi dalle facili ipocrisie, tienilo per quelle serate in cui sei triste e solo e per quelle giornate in cui ridi tra te e gusti le meraviglie del mondo cdi cui ne fai parte. come fosse la tua riserva per attingere forza e coraggio ed ispirazione. e non ti angustiare se poi alla fine
parte del mondo che è intorno a te non ne ha voglia, ma forse esso stesso non ha mai avuto nessuno che gli ha insegnato a capire, a vedere a sentire.
e donalo alla donna che avrà cura e forza per custodirlo.
un abbraccio dall’alchimista della nuda roccia.
[…] modi di girovagare penna alla mano, alcuni titoli, il modo di intrecciare il racconto (si confronti l’articolo pubblicato sul mio […]
[…] modi di girovagare penna alla mano, alcuni titoli, il modo di intrecciare il racconto (si confronti l’articolo pubblicato sul mio […]