Colli del frusinate, una manciata di chilometri dalla Capitale ed un venerdì di primavera precoce. Alatri ci accoglie vestita di tutta la sua essenza, simbolo di predazione di antica stirpe barbarica italiota. La cinta di mura megalitiche, di incerta datazione, con massi scolpiti dal sudore umano e perfettamente combacianti da far invidia a Machu Picchu, nasconde al fugace sguardo un sofisticato caos interiore, fatto di autoveicoli smarmittati e scarburati, circolanti in modalità casuale nella complessa ed intricata rete di vicoli e stradicciuole. Ne risulta un’aere irrespirabile e la quasi impossibilità a reperire anche pochi secondi per realizzare uno scatto in tranquillità ed impostare tempo e diaframma…
Ne rimaniamo attoniti. Le macchine sono ovunque e regnano sovrane, troneggiando con le loro livree persino innanzi al bellissimo portale gotico-romano del V secolo della Collegiata di Santa Maria Maggiore. Ci spostiamo allora di qualche passo, risalendo i lastricati verso la sommità del colle, quel tanto che basta per posare lo sguardo sulla valle. Al cospetto dei Simbruini, tra i quali si impone la vetta del Monte Viglio con i sui 2100 metri, regna l’anarchia edilizia; un perfetto ed inattaccabile piano sregolatore di ogni tentativo di ordine architettonico. Resti di antichi passaggi predatori, di calate barbare saccheggiatrici, di menti perse dietro alla seduzione del vil danaro. Povera Italia, come canta Franco Battiato, il cui genio musicale trova in questi paesaggi la sua massima sintesi. E non basta voltarsi indietro; perché ad ore sei, come si dice in gergo militare, svetta, felice e sbarazzina, imponendosi sulla delicatezza del vicino Fumone, quattro case appoggiate in bilico su un colle, una maestosa antenna a traliccio con parabole ed ammennicoli annessi; a ricordar che è si importante telefonar…
Cerchiamo pace interiore scendendo verso il lago di Canterno, percorrendo una strada di campagna segnata da una inciviltà edilizia senza pari. Ma al lago almeno troviamo il silenzio che mancava ed un tramonto roseo e delicato, che restituisce pace alle nostre anime sconvolte e sofferenti.
Scarico le immagini dalla scheda di memoria, guardo gli scatti, li pubblico qui al giudizio dell’umile gente. Come ho detto a Danilo con vezzo ironico: “Non sembra da qui, che siamo stati lì…”
Viene, in fin della fiera, una domanda a mezza bocca: ma dove stiamo andando?